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Covid-19: quali criticità nel continente africano?

Il virus Covid-19 ha ormai raggiunto tutti gli Stati africani, ma resta ancora l’interrogativo su come l’epidemia si diffonderà nel continente. Sono ancora troppo pochi i dati a disposizione e troppi i fattori che incidono sulla sua evoluzione: climatici, genetici, sociologici e demografici.
L’organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha dichiarato che i Paesi del continente ad oggi – 5 aprile – più colpiti sono quelli all’estremità: il Sudafrica con (1585 casi e 9 decessi), l’Egitto (1173 casi e 78 decessi), l’Algeria (1320 casi e 152 decessi).

Tuttavia, prevedere i contagi e l’andamento dei dati è pressoché impossibile in un continente che ospita la maggior parte degli Stati con i più bassi Indici di Sviluppo Umano (ISU), dove in alcuni Paesi ci sono solo 5 medici ogni 100.000 persone. Si può invece ragionare sulle criticità che i territori africani possiedono e porterebbero ad aumentare in modo esponenziale la propagazione del virus.
Riflettiamo: possono essere adottate anche da questi Stati le raccomandazioni dell’OMS e le misure di contenimento che ad oggi stanno adottando gli Stati europei? In alcune aree esse sono di difficile attuazione, se non controproducenti.

– “Lavare spesso le mani”

Pensiamo banalmente a questa semplice norma igienica. In che modo può essere adottata in zone dove non vi è la possibilità di reperire facilmente acqua? Questa mancanza implica da un lato uno spostamento delle persone per raggiungere i pozzi o centri di distribuzione e dall’altro la formazione di aggregazioni per poterla raccogliere.

– “Evitare contatti ravvicinati, mantenendo la distanza di almeno un metro”
La possibilità di auto-isolarsi risulta ardua e controproducente. Negli slums, dove le distanze tra una baracca e l’altra difficilmente raggiunge i due metri di distanza e in cui la densità di popolazione è elevata, com’è possibile evitare il contagio? Inoltre, lo stile di vita all’interno dei villaggi è basato sulla comunità e il concetto di famiglia è differente: una famiglia che vive nella stessa abitazione è composta normalmente oltre dal nucleo madrepadre e figli, anche da zii e cugini. Il rischio di contagio è quindi raddoppiato.

“Usare la mascherina se si sospetta di essere malati. Pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol”
La maggior parte degli Stati riceve materiale medico dall’estero, non avendo una produzione interna e in questo momento di crisi globale le risorse hanno difficoltà a raggiungere determinati luoghi a causa delle spedizioni fortemente ritardate e per la mancanza di disponibilità numerica.
Inoltre, le attrezzature mediche già presenti negli Stati non sono sufficientemente adeguate ed avanzate per poter affrontare un numero di contagi come in Italia o negli Stati Uniti. In molti Paesi le strutture sanitarie non sarebbero in grado di assistere un numero elevato di pazienti: in Kenya, ad esempio, esistono solo 155 posti letto in terapia intensiva, in Sud Sudan sono pari a zero e non esistono fondi statali o privati in grado di sopperire a questa mancanza.
Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’OMS, ha avvertito che “se il virus dovesse arrivare nelle metropoli africane come Lagos, Addis Abeba o Il Cairo, visto anche il livello di povertà e la carenza di strutture ospedaliere, il contagio diventerebbe una catastrofe”.

– “Se si hanno sintomi simili all’influenza rimanere a casa”
Le infezioni respiratorie sono molto diffuse e sono una delle principali cause di morte; i sintomi sono tuttavia simili all’infezione da Covid-19 e non sarebbe possibile senza esami specifici distinguere polmoniti dovute ad infezioni “normali” e quelle causate da Coronavirus, rendendo più difficile stilare la mappa dei possibili contagi, contenendo la grandezza dell’epidemia.

A queste criticità si aggiungono, inoltre, condizioni di malnutrizione e/o denutrizione, che indeboliscono il sistema immunitario. Anche se non vi sono sufficienti dati che affermino che le persone malnutrite possano essere maggiormente colpite dal virus, sviluppando anche patologie più gravi, il loro sistema immunitario è sicuramente più fragile e compromesso rispetto a una persona in salute.
Altro fattore di problematicità è l’instabilità politica di molti Stati, che rende difficile una risposta pronta ed efficace per limitare la diffusione del virus.
Il dato positivo è invece l’età media della popolazione del continente africano: 18 anni rispetto ai 45 dell’Italia.
Ci sono state altre epidemie, come quella dovuta all’ebola (2014-2016) che ha causato più di 11 mila morti in dieci Paesi, tuttavia tenuta sotto controllo grazie anche ad aiuti esteri; ma oggi con una pandemia in atto è estremamente più complicato per gli Stati fornitori di aiuti umanitari offrire un soccorso ampio, sia dal punto di vista logistico che economico, trovandosi già in difficoltà sul proprio territorio nazionale.

Dopo la dichiarazione di pandemia dell’Oms, i governi africani hanno iniziato ad adottare delle misure di distanziamento sociale, per evitare il propagarsi del contagio: chiusura delle scuole, limitazione di trasporti urbani e interurbani, l’implementazione di coprifuochi, divieto di aggregazione, di feste e riti religiosi. Con esse però sono nati dei forti malumori da parte della popolazione che lamenta il danno economico per la chiusura delle attività.
La fascia più povera della popolazione, attraverso ad esempio la vendita di prodotti presso i mercati, guadagna il giusto per la sopravvivenza quotidiana senza la possibilità di creare un risparmio. In Kenya si sono creati disordini sociali perché la popolazione domanda se le vittime saranno causate dal virus o dalla fame. Altri disordini sono causati dalla caccia agli “untori”, dovuto alla veicolazione di errate informazioni in cui europei e asiatici vengono individuati ed etichettati come portatori del virus nel continente. Diverse violenze verbali o fisiche sono state riscontrate in quasi tutti gli Stati africani, soprattutto in Sud Africa, Ghana e Burkina Faso.

Attualmente un nostro cooperante si trova a Tenkodogo, in Burkina Faso. Nel Paese ci sono più di trecento contagiati, per la maggior parte nella capitale Ouagadougou, componenti dei ceti più ricchi, a contatto con persone proveniente da altri Paesi o che hanno viaggiato recentemente.
Dal 21 marzo, il governo ha adottato misure restrittive sulla scia di quelle cinesi ed europee: sono state chiuse le frontiere, gli aeroporti e limitati gli spostamenti sul territorio nazionale. Sono stati vietati gli assembramenti per un numero maggiore di 15 persone.

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Siamo costantemente in contatto anche con i nostri referenti in Repubblica Centrafricana, dove la situazione per ora è tenuta sotto controllo (8 casi positivi). L’Onu ha inserito questo Stato tra i venti Paesi per i quali è prioritaria l’assistenza internazionale per far fronte all’emergenza Coronavirus, in quanto – in un territorio dall’estensione doppia rispetto a quella dell’Italia – esistono solo tre respiratori.
Presso l’ospedale San Giovanni Paolo II di Bossemptélé sono stati forniti strumenti utili per la protezione del personale sanitario e sono state adottate alcune misure necessarie per prevenire un focolaio. Gli incontri formativi previsti ad aprile, con la partecipazione del personale addetto ai dispensari dei villaggi e i curatori tradizionali, sono stati sospesi e rimandati. Inoltre, al termine dei briefing mattutini, effettuati tutti i giorni per la discussione dei casi del giorno precedente, è stata soppressa la consuetudine di stringere la mano ad ogni collega per augurarsi buon lavoro. Attualmente l’incontro viene effettuato mantenendo la distanza di sicurezza raccomandata dall’OMS ed evitando qualsiasi tipo di contatto.

 

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Le casette speciali a Maumere per le persone con disabilità mentale

In Indonesia presso l’isola di Flores è stato attivato grazie al finanziamento di Caritas Italiana il progetto “Promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità mentale” nella città di Maumere.

L’isola di Flores è una tra le più povere isole dell’arcipelago indonesiano. Nonostante l’Indonesia goda di un discreto sviluppo nel settore della salute, le popolazioni che vivono nelle località più remote soffrono di carenze strutturali, mancanza di personale qualificato, di medicine e servizi sanitari. In particolare, l’area della salute mentale è trascurata: i dati forniti dalla Indonesian Basic Health Survey indicano che circa il 6% della popolazione soffre di problemi riguardanti la sfera mentale come depressione, ansia e dipendenze.
I disturbi si traducono in schizofrenia, atti di violenza e disturbi bipolari che conseguentemente portano alla stigmatizzazione e discriminazione delle persone e delle loro famiglie. In questi contesti una pratica molto diffusa è il Pasung, ovvero l’incatenamento della persona per limitarne i movimenti e che porta a sviluppare ulteriori disabilità mentali e fisiche. Le famiglie, per difendersi dagli atteggiamenti aggressivi che le malattie mentali spesso causano, sono solite adottare questa pratica, costringendo la persona a vivere legata e da sola per un lungo periodo, non possedendo altre risorse e mezzi per le cure e il sostentamento.

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Il progetto, che si svilupperà nella città di Maumere, si pone l’obiettivo di sopperire a queste mancanze, intervenendo sulla condizione clinica delle persone con disturbi psichici, attraverso la creazione di un ambiente dedicato a loro e garantendo il reinserimento all’interno della comunità di appartenenza.
Sarà quindi incrementato il numero delle “casette speciali”, create nel 2016 dalla Delegazione Camilliana in Indonesia per accogliere le persone affette da disturbi mentali, che hanno ottenuto risultati positivi nella comunità. Ogni casetta (per un totale di cinque) sarà predisposta per soddisfare le necessità di ogni abitante e saranno costruite accanto alle abitazioni dei familiari.

In questo modo, i beneficiari potranno vivere la quotidianità in maniera serena avendo uno spazio proprio e protetto. Periodicamente, saranno effettuate delle visite domiciliari per supportare moralmente e psicologicamente la famiglia, migliorando anche le dinamiche relazionali al suo interno.

Il secondo obiettivo sarà quello di formare gli operatori sanitari e i membri della comunità sui problemi e sulle necessità di chi soffre di malattie mentali. Sarà anche attivata una campagna di sensibilizzazione contro il pregiudizio sul disagio mentale, veicolando una corretta informazione sulle malattie e la promozione dell’inclusione sociale delle persone indigenti.

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Repubblica Centrafricana: L’Ospedale Giovanni Paolo II di Bossemptélé si rafforza!

Nel mese di dicembre 2019 ha preso il via il progetto di “Rafforzamento dei servizi sanitari dell’Ospedale Giovanni Paolo II di Bossemptélé” in Repubblica Centrafricana. In questa struttura negli anni passati abbiamo attuato diversi progetti di potenziamento, tra cui la costruzione del reparto di neonatologia e l’attivazione dei relativi servizi e la costruzione del reparto di maternità con l’avviamento dei servizi rivolti alle future e neo mamme.
Queste iniziative hanno reso l’ospedale la struttura sanitaria di riferimento per il territorio.

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Per poter incidere ancora più positivamente sui bisogni sanitari e sulla salute della popolazione locale, grazie al finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) abbiamo intrapreso questo nuovo progetto che verte sue due componenti principali: il miglioramento delle prestazioni sanitarie e la formazione specialistica del personale.

Migliorare le prestazioni significa aumentare il numero dei pazienti assistiti, il numero mensile degli esami effettuati e la qualità di tali servizi. Per raggiungere questo obiettivo, l’ospedale verrà provvisto di medicinali di vario tipo per trattare in maniera adatta diverse patologie, da quelle più comuni alle più specifiche. Verrà inoltre fornita la strumentazione medica adeguata, come ad esempio lo sfigmomanometro per la misurazione della pressione arteriosa o il glucometro per la misurazione della glicemia; ma anche kit per piccoli interventi chirurgici, bilance e misuratori di altezza che permetteranno di migliorare qualitativamente le visite. Anche il laboratorio di analisi verrà dotato di apparecchiature biomedicali come il contaglobuli, per eseguire il conteggio dei globuli bianchi e dei globuli rossi, o l’analizzatore di chimica clinica e il coagulometro in modo tale da perfezionare le diagnosi e le cure.
Dal punto di vista della formazione specialistica, il personale sanitario locale, che ad oggi risulta avere delle lacune in alcuni ambiti, verrà formato dal personale in missione breve. Gli ambiti di formazione verteranno sulla chirurgia ortopedica, l’anestesia, la neonatologia/pediatria, il laboratorio analisi (con focus su batteriologia) e la diagnostica per immagini, incrementando così il livello di competenze e la qualità dei servizi erogati.

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Il progetto si occuperà anche di potenziare il servizio di clinica mobile, attivato nella precedente iniziativa “Maternità sicura” che ha riscosso molta partecipazione. Il servizio sarà organizzato due giorni a settimana (nello scorso progetto era uno) per rendere maggiormente accessibili i servizi sanitari e psicologici alle comunità dei villaggi più remoti e si passerà da 15 del precedente progetto a 22 villaggi al fine di estendere la copertura a livello territoriale. Per lo svolgimento di tale attività e garantire la sua continuità nel tempo, è previsto l’acquisto di un’ambulanza, che verrà utilizzata anche per il trasporto di casi gravi presso l’Ospedale Giovanni Paolo II.
Saranno inoltre organizzate delle attività di educazione in ambito igienico-sanitario presso i dispensari o i centri di salute pubblica con il particolare coinvolgimento delle donne. I temi che si andranno ad affrontare riguarderanno tra gli altri la nutrizione e la corretta alimentazione, l’allattamento materno e le malattie tipiche dello stato di gravidanza. Sarà dunque riservata particolare attenzione alle tematiche che riguardano la salute materna ed infantile, sottolineando l’importanza di effettuare controlli ginecologici, e ad ogni madre partecipante saranno forniti gli strumenti per evitare alcune malattie più diffuse come la malaria.
Infine sarà formato il personale sanitario presente presso i dispensari e centri di salute della zona, con particolare attenzione agli aspetti della salute materno-infantile e agli stock dei medicinali.

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Rispetto al precedente progetto, si amplierà il bacino di beneficiari del servizio di clinica mobile: da circa 1.260 persone assistite si prevede di raddoppiare tale dato raggiungendo 4.300 persone. Inoltre, anche le attività di sensibilizzazione ed educazione aumenteranno gli utenti coinvolti, passando da 2.280 a 3.500 persone.

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I risultati del nostro impegno per una maternità sicura in Repubblica Centrafricana

Il 29 novembre abbiamo ufficialmente concluso il progetto “Maternità sicura: assistenza e prevenzione per gestanti e partorienti nell’area di Bossemptélé”, in partenariato con l’Ospedale San Giovanni Paolo II gestito dalla Delegazione Camilliana in Repubblica Centrafricana. L’intervento è stato realizzato grazie al finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), con l’obiettivo di promuovere l’uguaglianza e le pari opportunità per donne, gestanti, adolescenti e giovani nella fruizione dei servizi per la salute, di migliorare la qualità dei servizi materno infantili e la capacità del personale dell’ospedale di rispondere in maniera adeguata ai bisogni di donne e madri.

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Oggi, dopo un anno di intenso lavoro e impegno da parte di tutti gli attori coinvolti nell’iniziativa, vogliamo presentarvi i risultati e i beneficiari raggiunti.

Abbiamo costruito e avviato un reparto maternità, costituito da un blocco con sala travaglio, sala parto e sala operatoria, un’area degenza post parto e da un ambulatorio ginecologico con regime di day hospital. La superficie del reparto maternità garantisce alle partorienti condizioni igieniche sanitarie adeguate preservando la salute e la privacy delle madri e dei nascituri. Il reparto è stato dotato di strumenti/attrezzature indispensabili all’assistenza ginecologica pre e post-natali, idonei anche alla gestione dei parti d’urgenza e per il monitoraggio fetale; oltre ai lettini ginecologici, per area degenza e ambulatori. Nell’arco del progetto, in ospedale i parti sono stati in media 17 al mese, 256 donne hanno usufruito di assistenza e visite ginecologiche, sono state effettuate 768 Visite antenatali, e 11 Donne gestanti con HIV hanno ricevuto trattamento per evitare la trasmissione al feto.

Grazie ad una formazione mirata in ambito ginecologico, abbiamo migliorato la capacità di 16 operatori sanitari dell’ospedale Giovanni Paolo II di assistere le donne in stato di gravidanza e le madri. Abbiamo inoltre organizzato incontri mensili di formazione sanitaria con la presenza di 204 persone tra operatori di salute, curatori tradizionali e chef dei villaggi circostanti Bossemptélé.

Abbiamo sensibilizzato 2.287 persone, di cui 1.363 donne e 924 uomini, che grazie alla partecipazione alle sessioni in ambito igienico sanitario hanno acquisito abitudini corrette per prevenire malattie sessualmente trasmissibili, evitare la trasmissione verticale del virus, preservare un corretto stato di salute della madre e del bambino, ed evitare le infezioni più comuni.

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Grazie al servizio di clinica mobile e visite domiciliari, abbiamo garantito l’accesso alle cure sanitarie di 1.263 persone, di cui 663 donne e 600 uomini, dei villaggi remoti e isolati della sottoprefettura di Bossemptélé. Il team, composto da due infermieri e un counsellor, ha raggiunto 15 villaggi a cadenza settimanale, effettuando le prestazioni necessarie (visite e diagnosi), fornendo la somministrazione dei farmaci e/o il trattamento sul posto. Contestualmente, gli operatori sanitari hanno sensibilizzato i pazienti su tematiche come la pianificazione familiare, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, il controllo dell’alimentazione e dell’allattamento, l’utilizzo di zanzariere, la presenza delle latrine, il controllo delle fonti di approvvigionamento d’acqua, l’igiene personale, la gestione dei rifiuti.

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I risultati raggiunti ci stimolano a proseguire in questa direzione!

I giovani del centro Snehagram in viaggio per il futuro!

Siamo in India.
In questo Paese si contano circa 2,1 milioni di persone che convivono con HIV/AIDS e 4 milioni di bambini/ragazzi sono colpiti direttamente o indirettamente da questa malattia (dati UNAIDS 2017). Ad aggravare la situazione si aggiunge la stigmatizzazione delle persone sieropositive nella società: una barriera tra gli individui e la società che impossibilita l’entrata nel mondo del lavoro e nella società stessa.

E’ per questo che dal 2013 collaboriamo con Sneha Charitable Trust, partner locale, portando avanti il progetto “Formazione professionale per gli adolescenti del centro di accoglienza Snehagram”. Durante le prime fasi è stato realizzato un campus di accoglienza e formazione nel quartiere Veppinapalli (distretto di Krishnagiri, stato di Tamil Nadu) per 200 adolescenti sieropositivi. Nella struttura sono offerti trattamenti e assistenza sanitaria e psicologica specifica per il loro stato di salute, percorsi di apprendimento scolastico per completare il ciclo di istruzione secondaria e sviluppo di competenze professionali in base alle loro attitudini. Inoltre, hanno la possibilità di partecipare ad attività extrascolastiche in base ai loro interessi, condividendo così le loro emozioni e rafforzando i legami di amicizia.

Da ottobre 2018 è in corso la terza fase “Verso il futuro dei giovani del centro Snehagram. Programma di transizione per una vita indipendente” che prevede la creazione di un percorso di transizione per i giovani sieropositivi tra i 18 e i 24 anni ad una vita indipendente. Quali sono i passaggi per introdurli in un ambiente inclusivo?

Agiamo su tre fronti.
Innanzitutto la creazione di un ambiente familiare, con la costruzione di strutture di accoglienza in cui ragazzi e ragazze vivono separatamente. Un sostegno viene fornito da un supervisore, incaricato di controllare lo stato di salute dei ragazzi sia a livello medico che psicologico, sia la loro alimentazione.

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Il secondo fronte è la formazione dei ragazzi/e sulla base delle loro capacità, motivazioni ed esigenze personali. I programmi di formazione spaziano tra l’addestramento meccanico o idraulico, l’allevamento di pollame o latte, l’addestramento su competenze informatiche o elettroniche, la sartoria o la fotografia. Settanta ragazzi/e beneficiano di questi corsi e alcuni di essi sono stati inseriti in varie aziende e istituzioni per l’apprendimento sul campo.

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Il terzo fronte è caratterizzato dall’inserimento dei giovani in attività per creare reddito ed iniziare così una vita indipendente e inclusiva. Ad esempio, per i ragazzi/e impegnati nell’allevamento di latte sono state acquistate 20 mucche, il cui latte ricavato viene venduto ai caseifici vicini e il guadagno depositato sui conti dei giovani. I ragazzi/e formati/e in sistemi informatici, elettronici ed idraulici vengono collocati in diverse società di produzione.

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Basandoci sui risultati ottenuti fino ad oggi nella loro formazione e rendimento, siamo sicuri che tutti i settanta ragazzi/e troveranno una collocazione nel mercato del lavoro in futuro!

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Alimenti nutrienti per gli allievi delle scuole di Bossemptélé

Dalla Repubblica Centrafricana arrivano buone notizie: il progetto “Cibo nelle scuole: Lotta alla malnutrizione infantile per Bossemptélé” procede secondo le tempistiche previste e con risultati sopra alle aspettative.

L’iniziativa, finanziata dal Consiglio dei Ministri mediante la ripartizione delle quote 8×1000 dell’IRPEF 2016, si sviluppa all’interno delle scuole gestite dalle Suore Carmelitane di S. Teresa di Torino ed ha come scopo il miglioramento dello stato nutrizionale e sanitario dei bambini in età scolare. La distribuzione di pasti per garantire un’alimentazione adeguata ai bambini permette anche di aumentare il tasso di iscrizione nelle scuole, riducendo così l’analfabetismo e i casi di abbandono scolastico. La possibilità di avere un pasto attira i bambini nelle scuole, tenendoli lontano dalla possibilità di subire violenze e contrasta la malnutrizione. Il Paese è stato teatro di una crisi, oggi in fase di risoluzione, dovuta allo scoppio di una guerra civile, che ha reso difficoltoso l’accesso all’acqua e alle fonti di alimentazione, oltre a creare un forte peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie.
In questo scenario molte famiglie non possiedono le disponibilità economiche necessarie per accedere all’istruzione.

Il progetto interviene su diversi bisogni dei bambini della scuola materna, primaria e secondaria di Bossemptélé e Baoro e delle loro famiglie.
All’interno della scuola secondaria “Mère Marie des Anges” prima dell’inizio delle lezioni viene distribuito un cucchiaio di miele ad ogni bambino, alimento che stimola la concentrazione e la memoria; nella scuola materna e primaria viene distribuito due volte a settimana.  Viene consegnato un pasto al giorno ad ogni bambino/a: riso o farina di mais accompagnato da fagioli, pomodori, sardine, cipolle o altri alimenti proteici. A volte viene accompagnato dalla moringa, utile per rinforzare il sistema immunitario e mantenere a livelli ottimali la pressione sanguinea e il glucosio nel sangue.
Grazie all’ottimizzazione delle risorse è stato possibile assistere più beneficiari (circa 1000) rispetto al numero previsto in fase di progettazione (circa 400).

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Sono organizzate, inoltre, all’interno delle scuole delle sessioni educative in materia di norme igienico nutrizionali, in modo da trasmettere ai bambini e alle loro famiglie delle abitudini comportamentali che contribuiscano a prevenire alcune malattie.
Il secondo focus del progetto riguarda l’assistenza socio sanitaria per bambini malnutriti o affetti da malattie importanti quali HIV/AIDS. Sono stati individuati 200 bambini vulnerabili e sono state fornite loro borse scolastiche e materiale didattico per poter seguire le lezioni. Inoltre, sono stati inseriti in un programma di assistenza sanitaria specifica per il loro stato di salute, che comprende visite mediche periodiche e esami clinici.
Nella seconda fase del progetto è prevista la formazione agricola accompagnata dalla fornitura di attrezzature e sementi per la creazione di orti familiari per favorire il sostentamento dei nuclei familiari dei 200 bambini inseriti nel programma di assistenza sanitaria.

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